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VIVA L'ITALIA prima puntata

09/11/2020

a cura di Andrea Bartalesi

Diversi anni fa, un Quattro novembre, al mattino, ci trovammo io e Tullio correndo sui nostri sentieri. Io gli dissi che per me il Quattro novembre era una data mitica e gli spiegai il motivo. Lui mi disse che il Quattro Novembre per lui voleva dire parlare con suo nonno. Era talmente bello il racconto che mi fece che io elaborai e completai le notizie e lo raccontai in un racconto. Eccolo. E' una testimonianza di un pezzo della storia delle nostre zone e di tutta Italia.

 

 

°°°°°°°°

VIVA L’ITALIA
Storia di Attilio, fante porcarese
I vari elementi che componevano la Banda stavano uscendo di chiesa e si
schieravano sul piazzale. Avevano messo sulla testa i loro berretti con la visiera e
alcuni di questi copricapo, troppo stretti, sembravano restare in bilico, affidati alla
sorte. I ragazzi che aspettavano, si erano avvicinati curiosi e scambiavano qualche
parola con i suonatori.
Altre persone uscivano intanto dal portone della chiesa e si allargavano sul sagrato
formando un corridoio dove da lì a poco sarebbero passate le autorità.

Il Sindaco, con la fascia tricolore, guardava il cielo e il grigio di questo si specchiava nei suoi occhiali
da vista. Si passò la mano sui pochi capelli tirandoli al loro posto, gesto abituale, e si
volse verso l’assessore anziano, più alto di lui, che gli era accanto. Disse qualche
cosa, l’altro si chinò, e fece un cenno con il capo.
Don Nanni, il proposto, apparve imponente con la sua cotta bianca rifinita con una
trina importante, bella sul nero della veste. Si pose il cappello a tre punte sulla testa,
e si portò la mano alla bocca, quasi a cercare il sigaro che avrebbe desiderato.
Alcuni vessilli tricolori, uno stendardo del Comune, una vecchia bandiera, pesante
di medaglie, gente con i cappelli alpini, con le bustine posate sulle ventitre, baffi
torchiati, si misero in corteo.


Il maestro della Banda nel suo doppiopetto, i capelli impomatati, si alzò sulle punte
allargando le braccia e d’improvviso, calando queste verso il basso, incominciò la
musica.
I ragazzi, sorpresi, sobbalzarono e ci misero un poco a iniziare a cantare e lo
facevano sottovoce, sia perché non volevano disturbare e poi conoscevano poco le
parole: il Piave mormorava.... calmo e placido al passaggio...
Si formò il corteo, dietro la Banda, i ragazzi. Cercavano tutti di tenere il passo, ma
era difficile per la discesa e per l’acciottolato della ruga.


Tullio non seguì la Banda come gli altri, prese giù dall’Erta della Chiesa, fino alla
Croce di Cocciori, girò veloce e arrivò in Piazza F.Orsi. Lui, il 4 novembre, ogni anno,
aveva un appuntamento.
Era un appuntamento tacito, non aveva mai avuto alcun invito, ma al quale per
molti anni non riuscì a mancare.
Giunse nella piazza: i grandi platani nodosi avevano lasciato cadere molte
foglie grandi e pesanti che riempivano le buchette, dove i ragazzi giocavano con le palline al
bordo dei prati, fra le panchine, con l’erba consumata e non ancora rinata.


Eccolo nonno Attilio, dietro un platano, quasi nascosto, la sua grossa bicicletta nera
appoggiata alla panchina di pietra, attendere l’arrivo del corteo. Davanti a lui, nel

centro della piazza, dove due strade formavano una croce, un monumento.

Una bella donna, semivestita, era in procinto di far partire con grazia una freccia da un arco
snello, ai suo i piedi il corpo di un soldato morto. Il monumento ai caduti.
Attilio Borelli era vestito con cura, si poteva dire elegante per il luogo e i tempi,
pulito, con i suoi panni migliori, camicia bianca, cravatta.
I pantaloni erano larghi e la giacca cadeva un
po’ lungo i fianchi, colpa delle sue
mani che si posavano continuamente dentro le tasche.
Si può dire che avesse un bel portamento, con la testa alta, difficilmente curvo.
Portava il cappello, ma lo aveva tolto lasciando vedere una testata di capelli bianchi
che un tempo forse erano biondi e rossicci.
Tullio non sapeva da quanto tempo era lì, ma sapeva che ce lo avrebbe trovato. Era
difficile parlare per lui, con suo nonno. A volte questo accadeva appunto il 4
novembre.
Si era fermato poco distante e sembrava un cane che muovesse la coda, in attesa di
un richiamo, di un cenno, per avvicinarsi festoso e timido.
E pensare che vivevano vicino. Bastavano pochi minuti, attraverso i campi, per
andare a casa sua, dietro Corte de’ Pacconi. Una porta piccola, una stanza e davanti
alla porta un grande caminetto, un paiolo nero come la pece, sua nonna che attizzava
la legna, che lo chiamava contenta che fosse venuto a trovarla. Era nonna Emma che
raccontava i fatti di Attilio e forse lo faceva per giustificarlo o per dargli un valore.
Suo nonno invece non lo trovava mai.
Partiva presto al mattino, con la sua grossa bicicletta, dopo aver mangiato i resti
della minestra della sera nei quali ci inzuppava del pane a mo’ di caffè e latte. Se era
fredda, non importava. Andava a Lucca, dove lavorava per l’Orto botanico. Aveva da
stare attento alle piante, ai prati delle Mura. Ci restava fino al pomeriggio.
Aveva avuto quel posto, privilegiato per i tempi che correvano, perché reduce della
Grande Guerra.
Tullio a suo nonno aveva molte cose da chiedere. Non che fossero cose importanti,
ma insomma gli avrebbe fatto piacere conoscere la sua vita o meglio avrebbe voluto
che gli raccontasse per filo e per segno i suoi anni passati in guerra, nella grande
guerra, dove, dicevano al bar del Cinema Nuovo, suo nonno Attilio aveva partecipato
a ben diciassette assalti alla baionetta. Nemmeno la recente Seconda Guerra
mondiale, con i suoi fatti ardimentosi, aveva scalfito la sua fama di combattente e
reduce.

 

 

 

(Foto da ILLUSTRAZIONE ITALIANA dell'epoca)

2
Pietro Attilio era stato arruolato il 5 aprile 1910, la sua matricola era 33292. Fu
chiamato il 16/08/11, successivamente: 07/10/1912, 05/08/1912, 08/08/1914,
10/05/1915. In congedo illimitato il 15/08/1919 dal 126° Deposito Fanteria Pisa.
Sposato con Emma, ebbe quattro figli, un maschio e tre femmine.
Chi lo ricorda dice che era un uomo mite.

Parlava poco delle sue avventure, qualcosa raccontava la moglie, testimone dei suoi momenti di sconforto e di bisogno di sfogarsi. Erano racconti brevi, ma importanti. momenti di sconforto e di bisogno di sfogarsi. Erano racconti brevi, ma importanti. Come quando tornò in permesso e lei gli mise la divisa a bollire nel
Raccontava di come, dopo una licenza, giunta l’ora di ripartire, non ce la facesse proprio, di come insieme con altri, si fosse nascosto alla Ralla  e di come il Maresciallo dei Carabinieri avesse parlato a lei di convincerlo, di come gli eventi stessero precipitando, di come fossero costretti a portarlo in prigione, del rischio di  essere fucilato.  Fu così che allora lei ci parlò e lui tornò al fronte.fronte.

Non era un uomo coraggioso: era nel gruppo degli arditi perché a questi davano più cibo da mangiare, i suoi famosi diciassette assalti alla baionetta erano dovuti a  una sorta di esaltazione alcolica alla quale erano sottoposti i soldati e forse, per Attilio, il fisico non reggeva la grappa o l’acquavite.  Ricordava che la grappa gli serviva per non sentire il freddo nelle trincee nei lunghi mesi invernali e che era data a bottiglie prima degli assalti.

Quando lavorava a Lucca, tornando, probabilmente faceva fermate abitudinarie
presso osterie lungo la strada per casa, tanto che arrivava, dopo pochi bicchieri di
vino, già leggermente ubriaco. L’alcol lo deprimeva, non lo esaltava più come prima.
Preferiva stare solo, andare a letto presto. Non ha mai dato noia a nessuno.
Andato in pensione, continuò la vita molto riservata e la sua occupazione era fare
l’orto alla Ralla. Forse ricordava i giorni delle sanguinose battaglie, dei compagni
morti. Aveva combattuto nella zona del Carso e del Piave. Alcuni sc rittori austriaci
raccontano che i soldati italiani avanzavano, malgrado tutto, nonostante i morti,
malgrado l’evidente destino che li attendeva.
Raccontano che gli addetti austriaci alle mitragliatrici sparavano tenendo il dito
sull’arma e guardando altr ove, perché non resistevano a quella carneficina. Si
racconta di ufficiali italiani che sparavano ai propri soldati se questi anche per un
solo momento tentennavano. In molti hanno avuto medaglie al valore per aver
sparato a chi indietreggiava. Attilio all a moglie raccontava che se non lo
ammazzavano gli austriaci lo avrebbero fatto i suoi superiori.
Era orgoglioso del fatto che le due figlie più grandi a quattordici anni erano state
assunte alla Cantoni perché lui era un combattente e reduce della Grande G uerra.
Nei momenti difficili gli veniva spontaneo dire “Viva l’Italia”, grido che
accompagnava il primo passo nella corsa verso il nemico.

 

Fine del primo capitolo.

Lunedì prossimo il continuo.

Andrea Bartalesi