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ROMA: ATTIMI FUGGENTI, RESTANO I RICORDI

25/03/2009

a cura di Andrea Bartalesi

ATTIMI FUGGENTI, RESTANO I RICORDI

Anche la Maratona di Roma è già nei ricordi di chi l'ha vissuta, corsa, preparata. E' così fugace il tempo che a ben vedere si vive l'avvenimento più nell'attesa che nell'attimo in cui si svolge. Restano poi, indelebili, scolpiti nel nostro cuore e nella nostra memoria, i ricordi. Pensate cosa può essere la vita di un uomo senza ricordi.
Io scrivo questo anche se non ero a Roma, se non ho preparato o corso la Maratona. Ma per le notizie, poche, e le foto, pochissime, che, curiosando in rete, ho trovato circa i nostri rappresentanti, i nostri mitici amici che dopo lunghi mesi di preparazione, di timori e paure finalmente si sono trovati ai Fori Imperiali una mattina di marzo con 42 km davanti a loro.
Penso a Cinzia e Massi, a Maura ed anche a Enrico.
Comincio da quest'ultimo perchè credo che meriti il primissimo commento, se vere sono le notizie che me lo danno ammalato alla vigilia della partenza per cui ha dovuto rinunciare all'ultimo minuto. Questo è il rischio di chi prepara una maratona: gli allenamenti logorano oltre che prepararti e molte volte le difese immunitarie vanno ad esaurirsi proprio in prossimità della gara. Credevo quando anche io preparavo, che la determinazione dell'evento tenesse lontano il virus maligno o il bacillo ambiguo, ma purtroppo non è così. Certamente il nostro Enrico avrà già previsto una nuova maratona imminente da correre ma resta il fatto della delusione, del groppo in gola, della tristezza. Quindi "vai Enrico" ci viene spontaneo e "la prossima sarà migliore!".

 

 

 


La mamma Maura, invece, l'ho intravista in una foto, tranquilla, come può esserlo chi sa di arrivare in fondo senza lo stress di un risultato. Le ore che passano allungano, per lei, il piacere di correre a Roma. Brava Maura, per questa tua determinazione e la serenità che porti nelle più grandi manifestazioni.

 

 


Ho intravisto poi, quasi intimamente, la cerimonia di vestizione di Cinzia e Massi, quasi un guardone che infila il suo occhio dal buco della serratura della porta d'albergo: la loro prima maratona, la fine di una lunga attesa, il cervello che va in ogni luogo, ma che finisce per arrivare a quella lunga strada, ai dubbi, alle speranze.
Poi li ho rivisti, sempre in una foto, nell'ultima salitella che gira intorno al Colosseo, a poche centinaia di metri dall'arrivo, nel momento della massima stanchezza e dello scoppio della gioia dell'arrivo, il momento delle lacrime di gioia.
Il cervello con le sue insidie ricomincerà a macinare i suoi concetti dopo qualche ora, dopo l'evento, recuperando le forze. Allora si comincerà a fare dei bilanci o la somma algebrica degli eventi e già ci proietteremo nel futuro, già pensando alla prossima.


Certo resteranno gli attimi di gioia o anche di sofferenza, resteranno le foto a ricordare. Certo Cinzia e Massi quando vedranno le loro, con le due magliette una rosa e l'altra celeste, quasi si dovesse in qualche modo distinguere il sesso, o bonariamente ritornare bambini, quasi due fiocchi attaccati ad una porta, si renderanno conto di aver perso una grande occasione. Quale? Quella di aver tagliato il traguardo con la mitica maglia dell'Atletica Porcari. Bella o brutta che sia la nostra maglia è la rappresentazione di un gruppo del quale facciamo parte, del quale ci dobbiamo sentire orgogliosi, portando in giro i nostri colori, ci diamo un'identità e innalziamo quasi una bandiera. Noi siamo dell'Atletica Porcari! A loro resterà invece il messaggio che hanno dato: io sono una bambina, io sono un bambino. L'arrivo di una maratona è un evento che non ha niente a che fare con il Carnevale. Il colore delle maglie, l'appartenere ad un gruppo, esserne orgogliosi, sono tutti sentimenti che si stanno perdendo, forse, per una banale maglietta tecnica di una qualsiasi ditta produttrice, un modo come un altro di farci inghiottire dai media, dai promoter, dagli uffici promozionali delle varie e famose case che guadagnano sulla pelle dei podisti.
Detto questo, e ripeto mi dispiace per loro, e spero che un giorno riescano a capire il concetto del mio dispiacere, devo anche dire che aldilà del piacere o dello scegliere un indumento è obbligo, dico obbligo, di chi fa parte di un gruppo, indossarne i colori e le maglie ufficiali. Obbligo dunque verso la società di appartenenza, obbligo verso gli sponsor che destinano al gruppo delle risorse. Molti non ci fanno caso, all'Atletica Porcari c'è ancora questo senso di appartenenza e di distinzione.
Quindi voglio chiudere queste considerazioni con un "Brava Maura!" e chi ha orecchie da intendere intenda.
Andrea Bartalesi