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MONTECARLO CON GIOIA CI ASPETTA IL 27 AGOSTO

20/08/2011

a cura di Andrea Bartalesi

 

 

 

MONTECARLO OLTRE LO SQUARCIO

Sabato 27, nel pomeriggio, Montecarlo, come ogni anno, ci aspetta.
Aspetta tutti i podisti e gli amici sparsi nel mondo che sono tanti. E' ormai un appuntamento, un qualcosa da non perdere al quale ci sentiamo impegnati senza averne ricevuto invito scritto.
Ieri mi trovavo a camminare fra i suoi vicoli, a respirare l'arietta fresca che gira oltre i suoi angoli e che si infila negli usci antichi, a sentir i grassi rintocchi delle campane della torre campanaria.
Mi meravigliavo dell'erba paretaria che ha invaso alcuni suoi cortili, cercando le lumache con i loro gusci, come racconta Guccini e come Francesco, avevo voglia di portare gli amici a vedere non solo la via maestra che divide il borgo come dopo un colpo di pettine, ma luoghi a molti sconosciuti pur così vicini.
Montecarlo, nel suo vecchio borgo, vive e rivive i suoi anni in modo austero e staccato, sembra quasi trascurare il mondo che lo visita e ai pellegrini che si avventurano a far compagnia al suo eterno venticello, mostra una parte immobile di se: accanto a case rimesse a nuovo con infinito buon gusto, pareti consumate, vecchie porte, sottopassi bassi e rotondi, rossi di mattoni, che forse un giorno portavano in realtà medievali dove il rumore e i colpi del soldato risuonavano, rimbombavano, dove il maglio batteva l'incudine forgiando armi.
Invece, in questa domenica di agosto, il silenzio con i suoi mille rumori, regna sovrano. Passeggiare porta alle riflessioni e più che a conoscere il luogo, a conoscer te stesso. Ti imbatti in una statuaria sposa con il suo sorriso trionfante: il suo salire alla Fortezza, dove incontrerà colui che sarà suo marito, è fiero e il suo passo sicuro. Ti domandi dove sono finite le spose tremanti e i loro teneri pianti, il loro passo lieve, i loro veli che solo "dopo" saranno tolti.
Un borgo così piccolo e così poco conosciuto. Ma quando ti avventuri fuori di una sua porta, che sia Fiorentina, Nuova o Lucchese, ti si apre il mondo, come un fiore quando mostra impudico il suo tenero ed intimo colore, ti si svela il paesaggio, il sole, la luce.
Allora viene voglia di scendere per le sue strade che portano a sentieri polverosi, a incontrare panchine di legno poste da mani sagge a riparo dei venti, calde di sole, dove posare il tuo corpo, scoprire la tua stanchezza, per meglio vedere. E così scopri il dolce rincorrersi dei colli, del bosco e delle vigne, i casolari e i loro campi, gli orti.
Ma domenica era troppo recente il fuoco che ha distrutto una collina e i miei occhi che cercavo di distrarre, venivano richiamati dallo scempio compiuto. Pini marroni si alzavano come monumenti alle barbarie del mondo, gli stessi pini che Fausto ci aveva mostrato una mattina dal palco dove venivano attesi i colombacci: le albe che coloravano di rosa il verde della macchia, le ombre che sonnolente si trascinavano nei loro ricoveri diurni, i profumi di tutto un mondo che si ridestava. Tutto è scomparso.
Resta la ferita, lo squarcio provocato. E dopo una cosa del genere non puoi nemmeno gridare: resti solamente allibito.
Ma gli abitanti di Montecarlo, questi uomini indomiti, schivi, dal volto scavato in legno di olivo, guardano oltre, pensano al tempo che trascorre e che sanerà, dopo le giuste iniziative, la ferita.
E sabato 27 torneremo a Montecarlo per quella corsa che ormai fa parte di noi, quell'atmosfera così preziosa da non dimenticare, torniamo dove i ragazzi della Misericordia ci aspettano, guidati da Fausto Martinelli e da Renzo Fantozzi e da tanti altri dei quali conosco la volontà tanto che il nome diventa un accessorio non importante.
Torniamo e lo faremo per noi perché ci sembrerebbe di mancare ad una promessa. E come sempre cercheremo le atmosfere e i piaceri come ritornare nei luoghi della nostra infanzia.
Ed io, indomito podista di sempre, confesso che fu Montecarlo a portarmi su questa strada, a sentire l'ansia dell'arrivo e il sapore della polvere nella bocca arsa. Giovanetto fra altri giovanetti, seduti sul prato della Torretta di Porcari, guardavamo il profilo merlato del comune vicino ed uno di noi chiese "si va a Montecarlo?". Dove, quando, come? Ma come quando, subito, attraverso i campi, in via retta, valicando colli e passando i lenti fiumiciattoli, evitando le corti e i loro cani, i pruni e le serpi!
Partimmo guidati dall'ardore giovanile, dall'incoscienza e dalla fantasia, e sul ritorno, perché arrivammo fino alla terrazza davanti alla torre dell'antica chiesa, ci sembrava di aver fatto un' impresa e ci raccontavamo la nostra fame, contando i pochi spiccioli che avevamo in tasca.


Andrea Bartalesi

 

 

 

(le foto della passata edizione sono di Aldo Passetti, Fausto Martinelli Susy Rovai)