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EMILIANA seconda puntata, racconto di Andrea Bartalesi

30/11/2020

a cura di Andrea Bartalesi

 Le settimane passano come fulmini. Eccoci alla seconda puntata-

 

 

02


“Volevo parlare di suo padre, dei suoi rapporti con lui, di come fosse di carattere...”
I suoi occhi che stavano quieti e un po' in guardia come chi si aspetta una domanda
difficile, si accesero e diventarono radiosi: “Mio padre era una persona eccezionale.
Un uomo per bene, sempre felice, c'era da stare allegri con lui...vero Giancarlo?”
D'un tratto la luce degli occhi si spense. Sembrava reticente, forse si domandava che
diritto avesse lei di rivelare la vera identità di suo padre, i vizi, se ne aveva, i pregi,
quasi gelosa del loro rapporto filiale.

“Mio padre fece la guerra e fu decorato, e a nche al suo ritorno, quando apertamente si
schierò contro il fascismo, fu sempre rispettato perché lui, in guerra, era stato fra gli
Arditi. Aveva partecipato ad attacchi pericolosi....Quando li mandavano all'assalto gli
davano un fiasco di grappa...”.

Dove abitavate di casa? Renzo mi aveva detto che vivevate a Caronti, in una parte
degli edifici del Del Magro?”


“No, io non ho abitato a Caronti, quello fu dopo, quando io ero già a Milano”.
E così mi cominciò a parlare della famiglia Di Giulio. Avevano il loro palazzo, quello
che poi comprò Beppino Fanucchi, dove creò il suo mega negozio tuttora presente.

“Sa davanti abitavano i Paoli, forse lei non li ha conosciuti, sa, apparivano dietro ai
barattoli come fantasmi...” accanto la casa di quelli di “Cocciori”. Sa dove c'era la
Croce di Cocciori?”
I Di Giulio, quando Gino partì per la guerra, erano una famiglia ricca. Suo padre
Daniele era detto “il Pacini” e infatti la via dove abitavano era chiamata Via dei Pacini
ed ancora porta quel nome. Aveva macello davanti a Dino di Tacco. Fra i fratelli di
Daniele c'era Luigi, detto Gigi, che avrebbe avuto diverse figlie e fra queste Isma, Rosa
e Giulia, le “gigine” che avevano tenuto e gestito l'appaltino accanto al macello del
padre (di qui anche l'appellativo di “le macelline”). Vincenzo detto Centi e suo figlio
Ginese avevano il macello dove poi lavorò il Giomi, davanti al Littorio. Uno di loro
aveva macello alla Dogana del Turchetto ed un altro a Zone. Insomma una potenza.
Uno di loro fu trovato morto sotto il ciliegio nel giardino di Giole, il padre di Ombroso.
Ma qualcosa non andò come doveva, uno della famiglia, sempre ben vestito, uno con
la cravatta, la giacca e la paglietta volle fare un investimento a Lucca, aprì un grande
negozio, forse di abbigliamento, ma aveva buone idee ma non abbastanza voglia di
lavorare. Poi forse il periodo scelto non era in linea con i tempi, chissà.
La famiglia che aveva avallato le cambiali si trovò piena di debiti e fu così che
vendettero la casa paterna. Cominciò quindi un peregrinare di residenza, prima
all'ultimo piano del palazzo del Poggi dove abitavano quelli di “Sonno” Poi al terzo
piano del Comune dove in seguito avrebbe abitato il Manfredini, la guardia. In
comune lavorò anche la giovane Emiliana, non c'erano più uomini, partiti tutti per la
Seconda Guerra Mondiale.
Ma qui si parlava già trent'anni dopo.
Personaggi si alzavano, veri, non fantasmi, uscendo da cassapanche scure,
sull'immenso palcoscenico della memoria,si alzavano in piedi, si scuotevano la
polvere e si spiumacciavano i vestiti prima di mostrarsi ai nostri occhi nella loro
imponenza e importanza.
E per mostrarsi nella loro importanza ne chiamavano altri che spuntavano da dietro le
quinte, mentre lo scenario mutava con loro.


Rosina, appoggiata al bancone a chiacchierare, curiosa, con i clienti, Arcangelo e
Vinicio, con Palmerina a giocare a carte, anch'io giovanissimo, quando mancava un
quarto, a vedere chi avrebbe pagato il caffè, Tosca, Gino di Ferracci, il susino sulla
strada, le telefonate dalla cabina che sapeva di cabina telefonica. Le sedie sullo
stretto marciapiede, le porte con i vetri da dove si vedevano passare le ragazze. La
sala della televisione con le poltroncine di legno...le massaie venivano a comprare il
sale, gli uomini il trinciato, io le nazion ali, nel minuto pacchetto celeste da dieci.
I Paoli, negozio dove andavamo, ma ancora prima, quando i nostri pantaloni erano

corti, a comprare le mentine, curiosi di vedere ondeggiare la testa di un piccolo santo
in segno di ringraziamento se mettevi un “diecino” nella fessura, Enrico così pelato,
sua sorella così eterea e bianca, quasi non esistesse e fosse solo una nostra
impressione, un'immagine stampata nella nostre retine, ma che non potevi
considerare vera.
Ombroso che quasi si staccava dagli altri personaggi, lui, elegante e particolare. La
sua casa che avrebbe fatto parte della Piazza, i platani, le panchine di pietra e noi
ragazzi che rincorrevamo un pallone e avevamo solo due mute di maglie, una azzurra e
nera, una rosso nera, quelle che quando le infilavamo ti giravano intorno alla vita,
indossate sopra le magliette o le camicie, sudate, se prima di noi avevano giocato altri.
La chiesa sopra il paese, ecco la lunga figura nera di Don Egidio, di noi chierichetti. Il
proposto Nanni con il suo sigaro, i campanari, lunghi e dinoccolati, con i loro
zoccoletti che ciabattavano scendendo dal Poggetto.
La Villa Mennoni con i suoi personaggi, con le due sorelle Del Carlo, una, la “ziina”,
con il suo ombrello nero che si muoveva, minuta, nera, con uno scialle antracite,
come un piccolo carillon nel cortile del palazzo, l'altra sorella aveva sposato un
artista, il Grassini, un pittore, uno che le aveva regalato dei sogni rossi nelle notti
d'estate o nelle fredde serate d'inverso, davanti a caminetti d'altri tempi, i figli, uno
podestà prima di andare a Napoli per imbarcarsi per l'Africa, per la guerra, alla quale
non ebbe il coraggio di andare. Gigi, signore infinito con il suo Topolino, le settimane
in Versilia alternate a settimane a Porcari, il capanno in Torretta, Stellino che lo
aiutava a portare le gabbie. La signorina Tina...
La meravigliosa stanza viareggina, dove in quattro parlavamo, si riempì di volti e di
voci, che forse sentivo solo io. Il palcoscenico dove le luci sapienti portavano al
proscenio persone, alternandole nel tempo, cambiando gli sfondi, le quinte, il suono.
Uomini e personaggi che poco avevano a che fare con la Prima Guerra Mondiale, ma
facevano parte della vita di Gino, al suo ritorno, nel dipanare della sua esistenza.
Cento anni di cose viss ute, di volti, di persone vere. Il tempo così veloce le mette
dentro scaffali oscuri della nostra memoria fino a che parlando con un amico o io con
Emiliana, li fa uscire con movimenti arrugginiti, in bagliori rossastri.

 

La terza puntata il 7 dicembre.  lunedì

 

Andrea Bartalesi