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A SANTA CROCE INFAGOTTATI NEL GELO

05/01/2009

a cura di Andrea Bartalesi

 

 

 

A SANTA CROCE INFAGOTTATI NEL GELO

Temperature polari ci accompagnano nel viaggio di avvicinamento e, fra i camion e i garage chiusi, ci accolgono prima di avvicinarci al ritrovo della Maratonina del Carnevale. La partenza è da ex-atleti rattrappiti, sembra, da reumatici dolori con diffusione artritica in tutto il corpo. Puntiamo decisamente verso Poggio Adorno sperando che le dimore dagli antichi splendori abbiano tenuto in serbo un qualche calore per noi, poveri forzati scappati da un campo di lavoro dell'era staliniana in Siberia. Ma i sentieri sono troppo belli per poter continuare a commiserarci e il laghetto gelato invoglia a una danza nibelunga su pattini in legno con lame d'acciaio, ma l'ovvio buon senso ci consiglia di rimanere a calpestare le foglie gelate e scricchiolanti, sotto alberi dai rami freddi e solitari.

Notiamo che il tracciato è stato cambiato, ancora una volta, potremmo dire, e che si lascia percorrere con piacere. Gli amici che ci fanno compagnia cercano nelle lastre di ghiaccio spezzate la conferma che "esistono ancora quei bei freddi andati". Al Parco Robinson, sotto una capanna dal sapore hawaiano alcune belle spensierate ballerine ( o gallerine?) ci rifocillano invitandoci ad un ballo sfrenato, quasi ad un sabbah. Le ricacciamo come tante Sirene che alla moda di Ulisse vorrebbero trarci in inganno. Riprendiamo il percorso e nel tratto di collegamento, prima della deviazione fra la 21 e la 14 vedo una cosa incredibile: ragnatele di ghiaccio che si intersecano con i capelli e scendono verso le spalle di Franco, quasi un sentiero di nidi di ragno di calviniana memoria. Ho sofferto tanto freddo in vita mia (ricordo una mattina a Cacovec, alle 6, vicino al confine Ungherese, dalla porta di un opificio guardavo una locomotiva sbuffante fumo, quasi avesse una convulsione di tosse e di asma, sui campi gelati con la brina che aveva ricamato tutto il panorama fino a dove la vista arrivava) ma mai mi era capitato di vedere ragnatele di ghiaccio che si attaccavano ai capelli umani.

 

(Parco Robinson)


Ampi sentieri ci portano verso Staffoli mentre Stefano mi racconta di essere andato con i gemelli e Luca al Balzo Nero, con una giornata meravigliosa, non ha visto le aquile, ma ha sentito l'ululato dei lupi e cerca di farmi capire, di trasmettermi l'angoscia e la paura che dava questo verso sentito. E le capre selvatiche nella valle dello Scesta spuntavano da ogni dove. Parliamo di libri, di storie. Guardo in giro e non vedo animali, sicuramente rintanati a cercare una pur lieve porzione di calore. Penso alla poiana che ho visto sabato, camminare sul ciglio di una strada, alzarsi e posarsi sui rami di un albero, pronta a ridiscendere e riprendere il pasto interrotto. Era dovuta scendere in pianura a cercare di saziare la sua fame.

Appena il sentiero sale sugli altopiani del parco sentiamo la carezza del sole e, nel continuo saliscendi, nelle zone d'ombra il pizzicare del gelo. Bello da matti questo percorso che ci hanno preparato gli amici "Spensierati", impegnativo nel suo continuo sali scendi, Stefano mi parla del viale che porta a Castelfranco, degli abitanti notturni che io non conosco, della miseria umana, delle perversioni, ma ci sembra tutto così lontano. Le schifezza del mondo non ci toccano stamani, anche se pensare a popoli che si sparano da dietro delle colline o aldilà dei vetri di una finestra ci fanno sentire ancora più freddo. Ci viene da pensare all'egoismo del mondo, perché tutto è legato al possesso, alle ingiustizie, alle menzogne che vengono così spontanee sulle bocche e sui volti di tutti gli uomini. Meno male che una salita ripida ci toglie il respiro e la parola e il pensiero.

(senza parole)

 


Torniamo alla gioia dell'animale selvatico che percorre dei bellissimi sentieri con la variante che noi siamo ben vestiti, che ogni tanto gli organizzatori ci fanno trovare dei bei bicchieri di tè bollente, che all'arrivo troveremo dei panni asciutti, caldi e a casa, i radiatori ci faranno arrossire con il loro calore.
Con Stefano stringiamo i denti, questa volta per lo sforzo e non per il freddo, nella pianura finale e una fetta di pane abbrustolito insaporito da olio e tanto, tanto aglio, ci riporta al gusto della civiltà ed alle ovvie vicende umane.
Grazie, amici Spensierati.
Andrea Bartalesi

 

Stefano a Poggio Adorno